King Crimson, In The Court Of The Crimson King, 1969 (Island)
Contributo critico Giovanni Braida
Venerdì 10 ottobre 1969, chi si fosse trovato a passare davanti alla vetrina di un negozio di dischi, o ad entrarci come appassionato melomane, non avrebbe potuto fare a meno di notare un disco dalla copertina senza dubbio originale e bizzarra, capace di incantare e scuotere allo stesso tempo, con quel volto cristallizzato, vagamente munchiano, in un urlo che può essere di terrore, di disperazione, di dolore. In più, su quella copertina non compare alcuna parola: né un titolo né il nome dell’esecutore. Sembra quasi di sentirlo l'urlo dell'uomo schizoide, guardando l'immagine trasfigurata della copertina di questo capolavoro assoluto del rock britannico. Barry Godber, pittore ventitreenne, riesce, attraverso la sua grottesca raffigurazione, a creare il vortice inesorabile che, partendo dalla cavità orale del "profetico mostro", giunge all'orecchio dell'ascoltatore. In The Court of the Crimson King è la prima fatica dei King Crimson, un'opera che rimarrà inevitabilmente un microcosmo a sé stante, nonostante gli impeccabili lavori realizzati in seguito dalla band. Un album leggendario, devastante per innovazione e tematiche: un disco sulla schizofrenia del 21esimo secolo, sulla guerra del Vietnam, sulla paura del futuro; in cui atmosfere surreali e incantate, lunghe suite romantiche e complesse architetture sonore segnano un album che, a distanza di tanti anni, riesce ancora ad apparire moderno. Siamo alla fine di un decennio musicalmente eccezionale, che ci ha regalato l'utopia di Monterey e Woodstock e con essa il sacrificio di Janis e di Jimi, e all'inizio di un altrettanto incredibile decennio - i Settanta - in cui è quasi impossibile trovare un disco non straordinario. Sulla scena britannica sono già sbocciate nuove formazioni del calibro di: Soft Machine, Yes, Jethro Tull, Genesis, Gentle Giant. Tutto ha avuto inizio dalle note di chiusura di A Day In The Life dei Beatles. In quel vorticoso crescendo si annidava il seme di quel progressive rock che avrebbe fatto sognare milioni di persone e che gli stessi Beatles avrebbero anticipato con il loro Sgt. Pepper's ... Iniziava una stagione del rock caratterizzata da un mix virtuoso di più generi musicali quali il jazz, il folk, la classica e la musica atonale contemporanea e che i critici avrebbero definito per l'appunto progressive rock. La storia dei King Crimson già agli esordi è a dir poco esaltante. Il primo contatto con il grande pubblico avviene nel luglio di quello stesso 1969 al famoso concerto di Hyde Park, voluto dai Rolling Stones per ricordare lo scomparso Brian Jones. I Crimson devono aprire l'evento, come gruppo di spalla, intrattenendo gli spettatori in attesa degli Stones. Sono ancora sconosciuti anche agli addetti ai lavori e tuttavia accade l'imponderabile. Il pubblico, catturato dalle atmosfere surreali, dalle lunghe composizioni e dall'insolita architettura dei testi, pare quasi scordarsi di Jagger e Richards, invocando a gran voce il bis al termine della loro esibizione: beh... non capita tutti i giorni di "rubare" la scena ai Rolling Stones. Il vinile, uscirà di lì a poco, non tradendo le attese. Il geniale e carismatico chitarrista Robert Fripp unito a questa prima formazione della band, guidata dal paroliere-poeta Peter Sinfield, plasmano con cura queste cinque tracce, magistralmente incastonate tra di loro, nel tentativo di generare un nuovo ordine musicale. La voce distorta di Greg Lake - che di lì a poco passerà ai fantasmagorici Emerson, Lake & Palmer - apre il primo atto della rappresentazione: 21th century schizoid man. Un inizio a dir poco spiazzante, composizione frenetica, rumorista, ma allo stesso tempo melodica, che si incastra alla perfezione con la seconda traccia dell'album: I talk to the wind. Il flauto di Ian McDonald si unisce alla lucida tranquillità della voce di Lake, in una quiete surreale, che fa presagire la tristezza contenuta nella traccia successiva, la dolente Epitaph ("coverizzata" in Italia dai Camaleonti nel brano Applausi). Il mellotron - uno dei protagonisti di questa stagione del rock - fa sentire la sua voce, il mostro urla di dolore: è un epitaffio ("Confusion will be my epitaph") che riguarda l'intera umanità; "But I fear tomorrow I'll be crying", profetizza Lake alla fine del pezzo. Si chiude il primo atto e si torna all'illusione onirica e alla quiete di Moonchild. La voce di Lake diventa sempre più flebile fino a lasciare spazio all'agonia dissonante degli strumenti degli altri musicisti, per una pura gemma free-form. Fervono i preparativi, i componenti della band, al seguito dello stregone Fripp, stanno per entrare alla corte del Re Cremisi. E' l'ultimo atto: The court of the crimson king. Il suono del mellotron si fa sempre più incalzante e Lake conclude la sua parte seguito dai compagni che ribattono in un corale ossessivo e lancinante. Magnifico, in particolare, l'assolo al flauto. Sembra la fine, ma dando un'occhiata all'interno della copertina del vinile, ci accoglie il sorriso grottesco ma più rassicurante e meno schizoide di un volto decisamente più umano. Sembra quasi plaudere alla follia annunciata e perseguita con coraggio dalla band. Si chiude così il primo capitolo della storia dei King Crimson. Le formazioni cambieranno numerose volte nell'arco di più di mezzo secolo, gravitando attorno al leader indiscusso Robert Fripp e passando dal progressive più genuino degli esordi a sonorità jazz e ambient sempre più lontane dagli inizi. I tempi cambiano e, ascoltando i più recenti lavori del gruppo, risulta ormai difficile sentire l'urlo dell'uomo schizoide del ventunesimo secolo, ma resta pur sempre quel suo sguardo allucinato a custodire i suoni di un'opera che resta tuttora unica nel suo genere e un'indiscussa pietra miliare nella storia del rock.