L'esistenza avventurosa di Paul Gouguin - Medusa

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L'esistenza avventurosa di Paul Gouguin

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L’ESISTENZA  AVVENTUROSA  DI  PAUL GAUGUIN

di Raffaella Saponaro Monti-Bragadin

Pubblicato sul  Notiziario Rotary Genova Golfo Paradiso N° 7 Gennaio 2022 Anno XXXXVII  - Rotary Distretto  2032 – pp. 4, 5.


Paul Gauguin  ebbe una vita interessante, avventurosa e tragica contemporanemente. Da ragazzo, mai si sarebbe immaginato di diventare un pittore.
Nacque a Parigi nel 1848, anno cruciale per l’Europa. Clovis, suo padre, era un giornalista, le cui origini provenivano da Orléans. Alin Chazal, la madre, apparteneva a una famiglia spagnola emigrata in Perù; anche i Gauguin si trasferirono a Lima. La prima disgrazia capitò lungo il viaggio: il padre Clovis  morì a causa di una crisi cardiaca sulla nave durante la traversata. Aline, con coraggio, raggiunse Lima da sola con i  due figli. Era il 1854. L’anno seguente tornarono nuovamente in Francia. Paul studiò prima a Orléans poi a Parigi. Già da adolescente ebbe inizio la sua vita avventurosa e unica nel suo genere poiché, arruolatosi in Marina, prima mercantile, poi militare, mai si sarebbe immaginato di passare alla Storia dell’Arte come pittore famoso per avere dato un apporto originale e tutto personale con tele e pennelli, peregrinando per il mondo, catturandone scorci, culture, sfumature di colore con uno stile tutto personale. Stabilitosi a Parigi nel 1871, lavorò come agente di cambio, divenendo un uomo d’affari brillante e ricercato, mantenendo   costantemente l’hobby della pittura che coltivava  nei momenti liberi. Innamoratosi della danese Matte Gad, si sposò nel 1873, creando una famiglia con ben cinque figli. Vi è, infatti, un suo quadro molto significativo (dalle tinte calde) di quel periodo sereno che preannuncia già un cambiamento rispetto alla pittura tradizionale, evidenziando un talento innato: un grande vaso di fiori dalle tinte vivaci in primo piano posto su un tavolo, dietro una figura maschile di spalle che potrebbe raffigurare lo stesso Paul il quale, rapito, ascolta le note del pianoforte che Matte suona. Una famiglia serena e benestante: i tratti dell’insieme ricordano in parte Degas, mentre le tele d’inizio erano più tradizionali: paesaggi campestri, la Senna innevata e altri.  "A casa del pittore a Parigi, via Carcel": tale è il titolo della tela.    È reale il detto che la felicità passa in fretta. Nel 1882 il lavoro sempre svolto con perizia subì uno scossone, in seguito al crollo della Borsa. Egli, però, continuava a coltivare la propria arte, lo stile era sempre più maturo e diversificato mentre la famiglia si trovava  in gravi difficoltà economiche tanto che Matte  tornò con i figli in Danimarca,  dai genitori, a Copenaghen,  seguita da Paul, il quale trovò un lavoro di rappresentante di commercio finché la famiglia della moglie non lo volle più a casa per motivi economici. Ecco che da questo momento il gruppo familiare si divise.
Fu allora che ebbe inizio l’avventura, poiché egli si dedicò alla propria reale passione e divenne un "pittore" come primaria sua attività. Tornò a Parigi con il figlio Clovis, che affidò alla sorella per riuscire a trovare un luogo economico in cui vivere decorosamente e sviluppare le sue capacità: si fermò a Finistère in Bretagna. A Pont Aven si unì a una compagnia di artisti e riniziò il suo percorso di buona lena.  Vi sono due opere del 1886 assai interessanti che mostrano una sobria dolcezza: "Lavandaie a Pont  Aven" e "Sulla riva del fiume. Contadini intorno a un fuoco". Egli era  un estimatore dell’Impressionismo ma il suo desiderio d’innovazione non era appagato. Nel 1888 si trovava ancora a Pont Aven (comune di Finistère) dove manifestava una maggiore raffinatezza nel cogliere la lezione dell’Impressionismo con un tocco personale. Colpisce in particolare un lavoro in cui tre bambine aggraziate si muovono danzando in cerchio immerse in una natura dai colori tenui: sono snelle nei loro abiti e governano i grandi zoccoli che costituiscono le calzature abituali, delle quali a Paul sembra di udire il suono; lo conferma in poche righe scritte: «Amo la Bretagna: ci trovo il selvaggio, il primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo suolo di granito, sento il tono sordo e potente che cerco in pittura». E poi eccolo ad Arles, da Van Gogh, con le tele sotto braccio per catturare la realtà del luogo sia all’aperto sia in ambienti chiusi, sebbene le frequentazioni nei caffè dell’amico non gli fossero gradite. Un anno prima, nel 1887, Paul e Charles Laval, un altro amico pittore, si erano recati  a Panama, adoperandosi in maniera spossante per la costruzione del canale. Stremati, si recarono in Martinica, (l’isola in cui nacque Josephine, la prima bellissima moglie di Napoleone, creola) appartenente alle Piccole Antille, chiamate anche Iles du Vent, fra il Mar dei Caraibi e l’Oceano Atlantico. La natura aveva il colore intenso del clima che è caldo, del sole e dell’aria. Paul trovò un'altra atmosfera, altre tinte ancora più forti, ammirò la grazia delle portatrici di frutta, vide le coltivazioni della canna da zucchero. Ecco il cambiamento: egli tramutò i contrastanti aspetti della natura, che sentiva anche emotivamente, in pennellate che segnarono l’inizio di una mutazione  che l’avrebbe condotto in seguito verso mondi e civiltà lontani dall’Europa, vicini alla natura nella loro complessità sotto forma di simbologia: una simbologia che rappresentava spesso la vita dell’uomo con la propria religione, i problemi, le gioie e i dolori.  Eppure senza orpelli. Van Gogh rimase entusiasta da quanto l’amico Paul, che gli era vicino nell’arte con il cuore,  aveva trasferito sulla tela nella Martinica. Ne è un esempio «Via vai. Paesaggio di Martinica».  La voglia di vagare per il mondo non gli passò mai. Paul era un uomo e un artista dalle mille curiosità, dall’animo inquieto, che non si accontentava della sedentarietà di una vita serena, sebbene gli affetti e i sentimenti fossero profondi, benché lo ispirasse la Bretagna cui dedicò tele indimenticabili. Ma le esperienze erano tutt’altro. Non poteva restare statico e lasciarsi scivolare giorni e ore senza trascorrere il proprio tempo in luoghi e situazioni diversi. Non si sentiva di rimanere  privo di esperienze differenti  dall’umanità levigata dall’educazione. La fase nuova e più importante della maturità dal punto di vista professionale, che lo contraddistingue maggiormente è  legata alla  Polinesia, ai colori di Tahiti all’  "esotica semplicità"  della terra, con i tipici riti simboleggianti la nascita, la vita e la morte, al mare che si faceva simbolo, alla gente.
Pare che, parlando, abbia pronunciato delle parole che avrebbero sottolineato le sue personali intenzioni: «Parto per essere tranquillo, per sbarazzarmi  dell’influenza della civilizzazione. Voglio fare un’arte semplice, molto semplice; per farla, ho bisogno di ritemprarmi nella natura vergine, di vedere solo selvaggi, di vivere la loro vita». E così fece. Si recò a Tahiti, un’isola montuosa, circondata da una barriera corallina dai colori intensi, dove la civiltà iniziava a interrompere la spontaneità di costumi degli indigeni. I colori che offre sono forti e sono riprodotti in svariate sue tele. Si immerse nell’atmosfera  di quelle isole, dipinse con colori vivacissimi, i medesimi che vedeva, imparò la lingua maori, la scultura maori in Nuova Zelanda al museo di Aukland. I profumi della vegetazione, le spiagge, le donne sensuali e la vita spontanea: tutto lo attraeva e ogni elemento che lo colpiva traduceva in colore. Scolpì anche diverse statue oltre l’ultima delle sue opere: un’ enorme tela che mostra l’esistenza in natura ma anche la simbologia insita nell’animo sconcertante della gente che viveva in quelle isole; «Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove andiamo?». Nel 1901 si stabilì a Hiva Oa, nell’arcipelago delle  Isole Marchesi, dove, già minato nella salute  dopo aver saputo qualche anno prima della morte della figlia Aline, morì l’8 maggio 1903 a causa di una crisi cardiaca per venire seppellito nel cimitero cattolico di Hiva Oa.  



 
 
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