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EMINGWAY

Letteratura Poesia

LE MILLE VITE DI ERNEST  MILLER HEMINGWAY

Pubblicato in Bacherontius – periodico di attualità, cultura, politica e satira fondato nel 1969 -- Direttore e Fondatore dott. Marco Delpino Editore, pp. 29,30, 31. Anno  III – Numero 1 – Febbraio 2022   

di Raffaella Saponaro Monti-Bragadin

Uno degli scrittori di fama internazionale più letti e seguiti da un vasto pubblico, ma altrettanto preso di mira dalla critica dei suoi tempi, fu Ernest Miller Hemingway, ancora oggi apprezzato e tradotto in svariate lingue per la sua originalità. Ebbe un’esistenza talmente intensa, varia, rocambolesca, incurante dei pericoli e della salute, che ci vorrebbe un romanzo per narrarla per intero. Ma vi sono episodi salienti che ne mettono in evidenza la personalità forte e precocemente indipendente, fin da piccolo. Egli nacque il 21 luglio 1899 a Oak Park (Chicago) nello Stato dell’Illinois, situato a 180 metri sul livello del mare, posto all’estremità sud-occidentale del Lago Michigan. Il suo clima è continentale. Oltre a strade a autostrade efficienti, Chicago, area metropolitana molto grande, è dotata di bibliotche e famose Università oltre ai parchi che sono notevoli.  Vi si trovano, inoltre, ben tre aeroporti e un porto affacciato sul lago. Il padre di Ernest era un medico benestante, Clarence Edmond Hemingway, la madre, Grace Hall, una maestra di canto, rinunciò alla carriera per poter seguire al meglio una famiglia che stava diventando numerosa: quattro femmine e due maschi, dei quali il secondogenito era proprio Ernest. Il fratello, il suo miglior biografo, si sarebbe  suicidato nel 1982. Il primo nome, Ernest, derivava dal nonno materno, il secondo, Miller dal prozio materno.  Il futuro scrittore venne fatto battezzare alla First Congregational Church. Quando egli ebbe un anno, nel 1900, la famiglia di comune accordo pensò di trascorrere l’estate in una località salubre all’aria aperta di giovamento ai bambini; la madre li condusse in un villino a Bear Lake sul lago Waloon, che fu ribattezzato Windermere in omaggio allo scrittore Sir Walter Scott, uno dei maggiori romanzieri inglesi. Colui che inaugurò il romanzo storico. Sbagliando l’ortografia del nome, Grace lo trasformò in Widemere. La vita era assai spartana: il bambino si dovette assuefare ad avere ben poche comodità, sebbene tutti fossero ugualmente felici. Non vi era una stanza da bagno in cui potersi lavare né accessori per le usuali norme igieniche, per il bagno ci si andava a tuffare direttamente nel lago. La luce elettrica era assente. La notte il piccolo Ernest dormiva all’aperto … sotto le stelle. Se è vero che il proprio temperamento è in parte personale, in parte deriva dalle figure genitoriali, anche le giornate trascorse con poche comodità fin da piccoli possono coadiuvare a forgiare il carattere. Dalla più tenera infanzia mostrò molta fantasia, la predisposizione a inventare, la creatività, il desiderio di guardare le illustrazioni. Già nel 1909 gli regalarono il famoso libro Ivanhoe di Sir Walter Scott, Robinson Crusoe di Stevenson, i racconti di Dickens.  Ascoltava a orecchie tese i discorsi delle persone, trattenendo tutto con una memoria prodigiosa che gli sarebbe durata fino a quando, più in là con gli anni, durante un periodo di depressione e di disinteresse verso il proprio lavoro, i medici gli consigliarono degli elettroshoc che gli fecero peggiorare notevolmente le condizioni di salute, di memoria e il pessimismo. Non fu più lo stesso. Aveva mantenuto fino a quel momento tragico la capacità di rammentare i dialoghi, le parole, le espressioni, i gesti stessi che poi avrebbe utilizzato qua e là nei suoi scritti. Era ancora piccolo allorché seguiva il padre a pescare; gli piaceva la natura di cui il genitore gli spiegava la funzione. Gli raccomandò caldamente di non uccidere gli animali tranne quelli che sarebbero stati utili per mangiare. Dall’età di cinque anni seguì e imparò le scienze all’asilo. Questi interessi perdurarono attraverso il corso della sua esistenza, per altro turbolenta e tumultuosa, compresa la caccia. Interessato ai safari, gli piaceva cogliere la preda sebbene non per necessità in Africa ma anche in Italia, ad esempio, perfino durante una semplice caccia alle anatre, come si sarebbe constatato nelle paludi veneziane. Tutte queste sue predisposizioni si sarebbero concretizzate, da adulto, nell’acquisto della Finca Vegía,  a San Francisco de Paula vicino all’Avana a Cuba, non distante da Martha’s Vineyard, splendida isola, individuata passando da Nantucket ; la Finca, come era solito chiamarla, era una grande casa con parco, fiori, orto, alberi; attraccata una grande barca con la quale andare a pescare con gli amici: un’ imponente nave a tutti gli effetti. Aveva anche un buon numero di persone al suo seguito, addette ai lavori, dal cuoco al giardiniere allo chaffeur. Non volendo frequentare l’Università dopo il liceo, dapprima lavorò nella fattoria del padre, ma non gli piacque; poi si recò presso lo zio materno. Scrisse dei racconti, prima di presentarsi alla redazione di «Star», a Kansas City, dove fu accolto dal caporedattore, Henry Haskell, il quale lo introdusse a sua volta, presso il vicedirettore Pete Wellington che, considerata la capacità del ragazzo, lo assunse per quindici dollari la settimana. Per quanto concerne gli articoli di cronaca gli diede da subito le prime "dritte": «Usate frasi brevi. Usate primi paragrafi brevi. Usate una lingua energica. Siate positivi, non negativi». Era il 2017. La Prima Grande Guerra infuriava. Proprio nello stesso anno gli USA entrarono nel conflitto. Il 1918 fu anno cruciale della sua esistenza, che mai avrebbe dimenticato. Quella terribile esperienza gli avrebbe lasciato il segno, ma lo avrebbe ispirato a scrivere un romanzo noto al mondo: Farewell to Arms. Ebbe molto valore agli occhi di tutti la medaglia d’argento come riconoscimento ottenuta per il suo coraggio e il grande senso di responsabilità. Theodore Brumback, un suo collega nella redazione del giornale, gli descrisse la propria esperienza trascorsa in Francia l’anno precedente; aveva guidato l’ambulanza per circa quattro mesi per l’American Field Service. Consigliò a Hemingway, giovanissimo ancora "adolescente" diciannovenne, di fare la medesima esperienza, dopo aver fatto richiesta alla Croce Rossa. A un personaggio così predisposto al movimento e all’avventura non ci fu da dirlo due volte. Si presentò come volontario. Gli somministrarono l’antitifica.  Dopo due settimane per addestramento, andò a New York per rimanervi circa dieci giorni, prima di salpare sulla nave Chicago e giungere  a Milano, dopo un ulteriore trasbordo in treno partendo da Parigi. La parte più impegnativa doveva ancora arrivare. Il primo trauma inaspettato che provò fu veder saltare una fabbrica di munizioni; lo reclutarono all’immediato per il trasporto dei feriti. La visione di tanto dolore lo lasciò sicuramente scosso. Dopo un  paio di giorni eccolo a Vicenza; lo assegnarono alla IV Sezione della Croce Rossa Americana a Schio (comune di Vicenza). Nell’infuriare del conflitto vide lo scrittore John Dos Passos, Usciva, in quei tragici momenti, «Ciao», un giornale su cui Ernest descrisse episodi dal fronte sotto forma di lettera. Con spirito di servizio volle essere inserito  nelle trincee e toccare con mano cosa fosse la guerra; al fronte in prima linea gli venne assegnato il compito di consegnare ai soldati sigarette, cioccolata, cartoline e generi di conforto. La parte più tragica della sua esperienza era in agguato, l’8 luglio. Mentre stava distribuendo quanto concordato, vicino a Fossalta, sulla riva del basso Piave, fu colpito improvvisamente da un terribile Minenwerfer austriaco, in piena notte. Aveva da una parte un soldato oramai morto, dall’altro un poveretto che stava atrocemente soffrendo, lamentandosi. Ernest con generosa pietà lo mise sulle spalle per raggiungere il Comando, Dopo aver percorso circa cinquanta metri, venne pesantemente ferito da una mitragliatrice alla gamba destra, rischiando la vita. Appena il tempo giusto di consegnare il milite all’autombulanza. Subito dopo svenne. I medici, convinti che morisse coperto di sangue com’era e non solo del suo, gli somministrarono morfina per il dolore e antitetanica per le infezioni. Lo riconobbe un sacerdote, Don Giuseppe Bianchi, che l’aveva conosciuto e gli diede il battesimo fra le sofferenze più atroci. Tutto ciò era iniziato l’8 luglio dello stesso anno. Il 17 luglio fu trasferito a Milano, presso l’Ospedale della Croce Rossa americana, dove il giovane d’eccezione trovò ben 18 infermiere per curare quattro pazienti. Ernest chiese subito a quale chirurgo si potesse rivolgere, considerando le ferite gravissime che aveva riportato durante la missione bellica. Dalle radiografie, infatti, si erano visti chiaramente due proiettili: uno nel piede destro e un altro nella rotula del ginocchio sempre sulla gamba destra. Sebbene malandato, una volta in ospedale si guardò intorno, vivendo ogni particolare con acuta lucidità, tanto da pensare già di scrivere un romanzo. L’infermiera che lo aveva accolto al suo ingresso, Elsie Mac Donald gli consigliò il chirurgo Sommarelli e lo mise nelle sue mani: gli interventi furono due e andarono bene. Ernest Hemingway venne insignito della medaglia d’argento al valore. Fra le infermiere che gli avevano prestato le loro cure egli s’innamorò seriamente, peraltro ricambiato, di Agnes Hannah von Kurowsky. Si promisero che si sarebbero sposati. I loro incontri, le promesse sono in parte simili al romanzo che sarebbe scaturito da quei ricordi memorabili: Farewell to arms, con una conclusione tragica: infatti l’infermiera protagonista sarebbe deceduta dando alla luce un bambino. Il romanzo comunicò un forte impatto emotivo sui lettori ed ebbe un gran successo di pubblico ma i critici, si sa, trovano spesso qualcosa da commentare. Chi apprezzò l’esperienza di guerra obiettò, invece, che la storia d’amore era sentimentalmente simile a "Giulietta e Romeo". Nella realtà, Agnes, l’infermiera che aveva amato, al contrario del libro, gli scrisse ritornando sui suoi passi circa la promessa di matrimonio, che sciolse per lettera. Ernest non soffrì poco per quel diniego. Tirando le somme, però, rimase uno dei romanzi più amati perfino quando venne tradotto in italiano, dopo lunghe trattative. E lo è tuttora. Tornando a Hemingway come persona, il trauma lo avrebbe perseguitato per tutta la vita, conferendo anche nei romanzi quel forte senso di tragedia che egli aveva violentemente patito da ragazzo. La morte aleggia nella maggior parte delle sue opere. Parlando di Farewell to arms Wilson dice che è una tragedia; e infatti da tempo la critica è concorde nel considerare Hemingway soprattutto uno scrittore tragico. Gli amanti sono avulsi dalle forze che li muovono: Wilson ricorda che in una lettera Hemingway aveva detto che questo suo libro era il suo Romeo e Giulietta […].
Avrebbero fatto seguito al primo romanzo, ad articoli e racconti altre opere: The torrent and the sea (1926),  Death in the afternoon (1932), Green hills of Africa (1935), For whom the bell tolls (1940), Along the river and into trees (1950), The old man and the sea (1952), a cui venne assegnato il Premio Nobel nel 1954. Con il suo stile, che fosse d’incontro o no, voleva trovare un suo personale filone che si differenziasse dagli altri, un suo equilibrio, un proprio understatement. Ignorava la politica di per sé ma credeva in un modo libero e giusto: due elementi imprescindibili dal vivere quotidiano, ai quali si atteneva. Dalla guerra, tornò in patria con la nave Giuseppe Verdi che salpò da Genova. Quando scese a New York, munito di stampella e con la medaglia d’argento al valore, la folla che lo attendeva impazzì di gioia, osannandolo  per l’altruistico coraggio dimostrato, che non gli mancò mai durante l’esistenza, se non nell’ultimo periodo di depressione, prima del suicidio. A Genova sarebbe tornato nel 1922, reporter molto giovane del Daily Star di Toronto, per la Conferenza Economica Internazionale. Gli piacque Genova, un insieme di grandi e lussuosi palazzi e di strade strette, simbolo di un’ antica storia. Vi sarebbe tornato anche l’anno successivo, nel 1923, ospite in Riviera a Rapallo del poeta Ezra Pound, il quale stava scrivendo i Malatesta Cantos, augurandosi che il clima mediterraneo, giovasse alla gravidanza della prima moglie Hadley Richardson, che gli avrebbe dato un figlio. Nel 1926 la coppia entrò in crisi (che aleggiava da tempo) perché Ernest si era innamorato di Pauline Pfeiffer, dalla quale  avrebbe avuto due figli. Anche con questa non sarebbe durato a lungo il matrimonio. Troppe le occasioni d’incontro, troppe le tentazioni, eccessiva mobilità di spostamenti per tenere un matrimonio saldo. Tanto l’amore per il proprio lavoro e per il proprio personale talento. Dopo la terza moglie Martha Gellhorn, che gli aveva consigliato l’acquisto della Finca, si sposò nel 1946 con la giornalista Mary Welsh, con la quale tornò in Italia nel 1948 per un prodigioso Tour che li avrebbe condotti a Venezia, a Cortina per il periodo invernale, accolti dalla migliore aristocrazia, senza che mancassero loro gli svaghi. A Cortina  Fernanda Pivano e il marito li andarono a trovare, fermandosi  una settimana insieme. Gli Hemingway attraversarono, nel loro percorso, partendo da Genova, le valli che conducono nel Piacentino, la Valtrebbia e la Valle Scrivia, delle quali si innamorarono della splendida e folta vegetazione. Mary fu l’unica e la quarta moglie che gli stette accanto, partecipando a pranzi e bevute, a ubriacature ed eccessi, all’interessamento per la giovanissima, attraente Adriana Ivancich, di famiglia aristocratica che incontrarono a Venezia e che Ernest invitò alla Finca in seguito con madre e fratello. Durante quel periodo diede alle stampe anche l’opera Festa mobile. Quando iniziò a dar segni di malinconia e di cedimento, nella clinica dov’era stato ricoverato pare gli abbiano fatto almeno una quindicina di elettroshoc, secondo un’infermiera, mentre i medici non ne hanno mai dichiarato il numero. Iniziò a soffrire di afasia. Come ricorda Fernanda Pivano, curatrice del testo dell’Introduzione: Il 12 gennaio arriva un telegramma di John Kennedy che lo invita alla cerimonia inaugurale della sua nomina a presidente: quella cerimonia la guarda alla televisione il 20 gennaio, cinquantatré giorni dopo esservi stato ricoverato.
Ritornò alla sua casa di Ketchum con un aereo privato dopo essere stato dimesso il 22 gennaio.  Preda oramai della depressione, non aiutato da cure che invece ne  peggiorarono lo stato di salute, sentendosi psicologicamente sconfitto, lontano dalla Finca sempre piena di amici, di pranzi e di bevute,  perché la vittoria di Fidel Castro a Cuba oramai aveva reso necessario lo spostamento negli Stati Uniti, il 2 luglio 1961 Ernest si sparò una mattina con un fucile da caccia. Immenso il dolore di Mary, che ne perpetuò la memoria, e del mondo tutto.





 
 
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